Alla fine l’amore per il Milan ha potuto più della voglia di far gol. Appendere le scarpette al chiodo a 39 anni e accettare la panchina delle giovanili di uno dei club più prestigiosi d’Europa può sembrare una scelta logica, facile, quasi scontata e banale. Ma se a farla è Pippo Inzaghi tutto cambia.
Per lui non era affatto scontato dire addio dopo 20 anni di carriera e 316 gol, dopo una stagione da emarginato e una sola rete segnata nel giorno dell’ultima con il Milan.
La voglia di riscatto era tanta. Quel desiderio di continuare a farsi beffe di guardalinee, difensori e portieri avversari, di vivere ancora con un occhio rivolto al filo del fuorigioco, l’altro al pallone, e il terzo, quello che solo i grandi campioni hanno, puntato costantemente verso la porta.
Ha fatto gol in tutti i modi in carriera: di destro, di sinistro, di testa; a porta vuota o partendo palla al piede da dietro il centrocampo, deviando più o meno volontariamente le conclusiosioni dei compagni o dribblando il portiere avversario; ne ha fatto persino uno con un calcio di punizione a giro sul primo palo, roba da specialisti, mica da parvenu dei piazzati.
Ha sofferto Pippo nell’ultima stagione, ma l’ha fatto in silenzio e nel rispetto del ruolo del suo allenatore. Non una parola di troppo quando, per ben due volte, è stato escluso dalla lista Uefa, un fatto che l’ha privato della Champions League e del sogno di inseguire ancora Raul come migliore marcatore europeo di tutti i tempi. Ha sofferto anche a gennaio, quando è stato sul punto di dire sì al Siena, ha sofferto nuovamente in questi mesi di vacanza. L’idea di lasciare il Milan anche solo per un anno gli faceva male, troppo per poterla accettare.
Tra il gol e la maglia ha preferito lasciare il gol, tradire una missione per sposare una causa. Ora insegnerà agli Allievi rossoneri come scomparire dalla vista del proprio marcatore per riapparire magicamente a due passi dalla rete. Proverà a trasmettere ai giovani l’entusiasmo che non gli è mai mancato, quello che per un gol segnato a 38 anni nell’ultima inutile partita di campionato l’ha fatto saltare e piangere come per la doppietta al Liverpool in finale di Champions League, come un bambino davanti ai regali di Natale.
Il campo gli mancherà, certo, ma sarà comunque a casa.